S'infingeva, per negoziare a suo pro col Papa disgiunto dai Lombardi. Mandava celatamente dicendogli, condiscenderebbe alle proposte, ove gli lasciasse il possesso del patrimonio della Contessa Matilde per quindici anni, a capo de' quali si rivedessero le ragioni dell'Impero su quella signoria. Consentì il Pontefice anche in questo; e Federigo temendo che non intorbidassero i Lombardi sì bel sereno, recatosi a Chioggia, incominciò colla presenza ad intimorire i congregati in Venezia, per calarli alla conchiusione del trattato. La parte imperiale in Venezia lo aiutò nell'intento, strepitando, che fosse accolto in città. Non potevasi, perchè ne andava la fede giurata dalla Repubblica veneta ad Alessandro di non permettere l'accesso dell'Imperadore. Ma lo strepito dei chiedenti si accresceva, forse fomentato dal Tedesco: i Rettori della Lega impauriti si ritrassero, gli oratori Siciliani facevano lo stesso; Alessandro, che aveva assicurato il fatto proprio, dava le viste di fuggire. Il rumore crebbe in aperta sedizione: fu forza cedere, ed accogliere in città Barbarossa, sotto la giurata condizione di non uscirne, che a pace conchiusa.
Avvicinava Barbarossa: il Doge con tutto il fiore della città gli faceva corteggio su le navi della repubblica messe a singolar festa. Alessandro aspettavalo nella Basilica di S. Marco, e gli mandava innanzi i Vescovi di Ostia, di Porto, di Palestrina con altri Cardinali; i quali come si appresentarono al Barbarossa, lo disciolsero de' molti anatemi che gli annodavano lo spirito, vecchio nella tirannide e nella scisma.
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