L'Italia, rinata appena, aveva già dissodato mezzo continente nuovo, con lo stesso vigore di animo e di braccia di quei legionari antichi, di cui immemore e stupita sentiva sonare tuttora i nomi sulle strade consolari dei vecchi continenti. Le nazioni, amiche e nemiche, illuminate e guidate dalla Rinascita, abbeverate alla fontana corrente del genio italiano, devono a noi la parte migliore di sé stesse; e noi dobbiamo a loro la nostra esistenza politica, nel bene e nel male: nel bene, per l'aiuto che ci porsero, nel male, per l'insegnamento del dolore che ce ne venne. La nostra esistenza piena, ardente, libera di tutta la libertà del genio dell'arte e della scienza, è necessaria alla civiltà del mondo: nessuna giovinezza politica è stata mai così aggravata di responsabilità e di doveri come la nostra; ed è questa la situazione della nostra patria tra gli amici e i nemici, ora che sul vecchio continente si viene effettuando nella realtà il mito antico del giudizio universale.
Ne sia vicino di mesi l'esito estremo, oppure lontano di decenni, questo giudizio universale delle nazioni implica sulla mitica terra di approdo del toro iniziatore il cominciamento di una nuova era. È perciò un pregiudizio il credere che la semenza sia legata unicamente alla sorte delle armi, e che significhi, di qua o di là, la compressione completa di una delle parti in contesa. Questo non è il duello di due popoli e di due stirpi che possa finire con uno schiantamento, come quello romano-punico o l'altro ispano-arabo, né un duello religioso come il giudizio di Dio ugonotto-cattolico.
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