Ora il governo dello stato rifinito era nelle mani di quel Direttorio che, fiscale e discorde, violento eppure impotente, si batteva a morte e vita con le fazioni. Bonaparte col suo occhio singolare aveva in passato già visto, che il 10 agosto il potere regio precipitava per la fiacchezza dei suoi difensori, e da quella osservazione cavò la teoria che più tardi, salendo al trono, legò ai suoi successori come un monito della più alta sapienza politica: "la rovina della legge e il perturbamento dell'ordine sociale sono mere conseguenze della debolezza e incertezza dei principi". Fin da allora si era servito dei partiti repubblicani per collocare al debito posto gli uomini d'ingegno eminente; ma la sapienza politica pericolosamente precoce di quel cervello nemmeno per un istante aveva dubitato, che la durata della repubblica fosse tanto impossibile quanto il ritorno dei Borboni. Egli era padrone dello stato prima di conoscerlo; e con l'occhio del genio intuì ciò che più urgentemente era necessario alla vita sociale in brandelli. Dichiara: "io non appartengo a nessun partito, io appartengo alla Francia; chi ama la Francia e ubbidisce al governo è del mio partito"; e in questo modo si assicura l'appoggio di tutti coloro che tremavano alla tirannide dei partiti. Egli abroga le leggi crudeli contro gli ecclesiastici e gli emigrati, ma mantiene l'alienazione già compiuta dei beni dello stato, delle chiese e della nobiltà; e in tal modo non solo rassicura i borsisti che avevano dato mano alla preparazione del complotto del 18 brumaio, ma anche i centomila che temevano della malsicurezza del nuovo possesso.
| |
Direttorio Borboni Francia Francia
|