Nel carattere pieno di contraddizioni di questo grande popolo fin dal tempo antico si riscontra accanto a una forma magnanima di amor di patria, che nei giorni del pericolo sale fino all'eroismo, un'avversione decisa al sacrifizio quotidiano inerente al compimento del dovere da parte del libero cittadino; accanto a una forte passione politica il senso poco o nulla sviluppato dell'ordine e del diritto dei singoli. Napoleone III fin da quando era un pretendente si accorse, che proprio sopra codesti difetti si sosteneva, dura e senza discrezione, la monarchia burocratica. Con altrettanta necessità l'accentramento richiamava la monarchia. Solamente una cieca illusione poteva indurre gli oratori della Costituente, per esempio un Thouret, alla fiduciosa affermazione, che sull'accentramento riposava la solidità e la costanza dello sviluppo politico. Piuttosto, invece, la cospirazione di tutte le forze vive della nazione concentrate a Parigi offriva a quella minoranza la possibilità d'impadronirsi di tutto lo stato con un colpo di mano audace. Soltanto una energica potestà monarchica era scudo contro un tale enorme pericolo. E così il primo console poté avere sulle labbra, almeno per un altro po' di tempo, le frasi repubblicane e celebrare con lutto solenne la morte di Washington, a cui era toccato di combattere per gli stessi beni che i soldati di Bonaparte: ma fin dal 18 brumaio la Francia aveva un padrone. Un trattato della repubblica dell'anno 1801 già parla di sudditi del primo console: la fondazione dell'impero legittimò alla fine anche il nome di quel regime, che per la Francia era una necessità, e che solo nella vertigine delle passioni era stato possibile abbandonare.
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