Si sparsero anzi nel mondo le teorie dell'onore cavalleresco e della galanteria, le stesse, purtroppo, dei tempi della cavalleria; e la nazione ha serbato fino al presente cotesto carattere cavalleresco, con tutto il suo eroismo e con tutta la sua vanità. Nel caso speciale, la sentenza di Machiavelli, che il cittadino può farsi grande solamente nella pratica degli affari dello stato, si comprende, ma nel senso più esoso. L'ambizione e l'egoismo premevano la corona da tutte le parti, domandando impieghi, titoli, benefizi. Guardare allo stato con occhio cupido divenne un'abitudine. E quando un tal popolo leva il grido di eguaglianza, si comprende in tutto il suo vigore la dura parola del poeta:
Le rêve d'envieux, qu'on nomme égalité!
Varie ragioni spinsero Napoleone I a realizzare compiutamente quel sogno dell'invidia che si chiama eguaglianza. Il borghese arrivato vedeva necessariamente negli stati privilegiati del tempo antico i suoi nemici irreconciliabili. Nei momenti di debolezza si sentiva piacevolmente lusingato, quando un cortigiano gli parlava dell'antichissima nobiltà della casa Bonaparte. Nei giorni del suo più alto orgoglio attirò a disegno alla sua corte i gentiluomini delle antiche stirpi; di più, egli con le nozze austriache si sforzò di dare alla sua recente corona il lustro dell'antico legittimismo. Ciò non ostante, in tutti i momenti di difficoltà egli ritornò alla chiara conoscenza di sé stesso: "per me esiste una nobiltà solo nei sobborghi, un volgo solo nella nobiltà". Per altro, della necessità dell'eguaglianza dei cittadini egli era sinceramente persuaso quanto forse un neolatino.
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Machiavelli Napoleone I Bonaparte
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