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      Dato pure che la campagna del 1815 fosse andata bene all'imperatore, la Francia non avrebbe tardato a sperimentare ciò che i furbi capirono subito, quando Napoleone tornò dall'Elba: che, cioè, agli occhi di un tale uomo un sovrano costituzionale era stato e rimaneva un cochon d'engrais.
      Non ostante la finitezza del suo meccanismo burocratico, l'impero non ha mai rinnegato la propria essenza di potere illegittimo, tirannico. Purtroppo anche questo è un tratto caratteristico della tradizione francese. Durante i lunghi secoli in cui la corona dominava solo su pochi funzionari assolutamente devoti e affermava il proprio potere con la violazione continua delle leggi, con le leggi eccezionali e con gli arresti arbitrari, il senso della legalità, per altro non troppo forte dei francesi, era devastato dalle fondamenta. La nazione fece l'animo alla credenza, che Chateaubriand esprime ingenuamente: "i mezzi di un governo sono di continuo incommensurabili". La Rivoluzione, quindi, aveva combattuto l'antico regime con le sue stesse armi. Il tribunale di sangue della Convenzione e le corti speciali di Richelieu sono figli di uno stesso spirito. Quando lo stato accentrato ricevé finalmente da Bonaparte gli organi legittimi indispensabili, a cotesto enorme potere statale fu, nello stesso tempo, aperta la via alla tentazione quasi sovrumana di abusarne; e, col fatto, nessun sistema politico in Francia fino a oggi, nemmeno la monarchia di luglio, ha governato senza leggi eccezionali. Bonaparte ereditò dal Direttorio un terribile armamentario di leggi di urgenza, sullo stato d'assedio, contro la stampa, e via dicendo.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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