Ma come si destò in lui la coscienza della sua forza, si rise della patria e delle sue piccole bisogne. Il côrso fu un eroe della Francia solamente perché la Rivoluzione apriva un libero campo di azione alla sua potenza prodigiosa. In altre circostanze egli si sarebbe servito indifferentemente di qualunque altro paese come sgabello della propria grandezza; tanto è vero, che durante gli anni dell'ambizione ancora insoddisfatta vagheggiava l'idea di mettersi al servizio della Russia o della Turchia. Ma la corona della suprema gloria di sovrano è dovuta soltanto agli eroi nazionali, nella cui immagine un intero popolo celebra e ritrova magnificamente la propria esistenza. Tra quelli sarebbe stato da annoverare Napoleone, se avesse dominato il mondo con forze italiane; perché in lui s'incarnò un antico sogno dell'anelante aspirazione dell'Italia: il "Principe" di Machiavelli. Come imperatore dei francesi egli non è altro, che il più grande dei venturieri senza patria della storia. I francesi hanno acclamato le sue vittorie e lo hanno adorato come un dio; eppure egli non incontrò mai quella simpatia profondamente cordiale, che in altri tempi salutava ogni facezia e ogni galanteria, ogni atto di mala creanza e ogni atto magnanimo di Enrico IV. Né sui sentimenti intimi dell'imperatore deve illuderci l'assicurazione patetica, che a Sant'Elena ebbe sulla bocca: "io ho molto amato il popolo francese". S'intende bene, che abbia apprezzato l'ardente ambizione guerresca della nazione come un prezioso strumento dei propri disegni; ma ne giudicò le magagne con la fredda penetrazione di uno straniero, e la sua politica europea venne presto a provare, che un senza patria governava la Francia.
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