Ben a ragione i popoli ravvisarono subito nell'imperatore non altro ché il despota, il reazionario, che criminosamente si maneggiava per impastoiare il libero sviluppo di ogni vita nazionale. Egli stesso, l'imperatore, si compiacque di questa parte durante la sua ultima lotta disperata: nel 1813 rivide in sé stesso il domatore della rivoluzione, chiamato a cacciare gl'ideologi della Germania del pari e della Spagna. Perseguitò con odio personale ogni moto popolare. Furono innumerevoli i liberali tedeschi e spagnuoli che incatenò al remo come briganti. Ed è tanto comprensibile, che nelle singole corti gli organi dell'assolutismo aderissero a Napoleone, quanto è naturale, che aderisse a lui la burocrazia degli stati della Confederazione del Reno, e perfino alla corte di Berlino il partito del conte Voss.
Il tramonto dell'imperatore fu la conseguenza della lega tra le potenze legittime, che odiavano il borghese portato su dalla Rivoluzione, e i popoli, che dalla caduta del despota si ripromettevano la libertà. Ma in questa guerra la forza motrice fu l'elemento popolare. Il vanto della vittoria appartiene a quegli uomini, che secondo il consiglio di Stein combatterono la Rivoluzione con le sue stesse armi, cioè scatenarono l'istinto di libertà di tutte le energie economiche e morali dei popoli. Subito dopo la vittoria, riprese il sopravvento quella grettezza di spirito, la quale con Gentz badava sopra tutto a che la guerra di liberazione non diventasse guerra di libertà. Ogni difesa deve tacere davanti all'odio enorme, che spinse milioni di uomini sotto le bandiere contro l'imperatore.
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