Piuttosto, come il suo sistema era intimamente tanto pesante e oppressivo, perché di continuo le eccezioni turbavano la regola, così la sua politica estera riusciva intollerabile al mondo principalmente per ciò, che ogni sorgere di sole poteva portare il rovesciamento dell'ordine costituito. Cotesto angoscioso sospetto dell'imprevedibile condusse nell'ora più critica la Porta a conchiudere con la Russia la fatale pace di Bucarest; perché chi garantiva, che il sultano della Francia non sarebbe per allungare il suo braccio anche sul Bosforo? Quale lunga filza di stati efimeri, tutti cotesti regni di Berg, di Etruria, di Westfalia, prima messi su, e poi subito soffiati, o rimaneggiati nei confini! Tutta quanta la sua politica non è che una vicissitudine, come la sabbia sulle dune. L'imperatore lusinga contemporaneamente le corone di Prussia e di Svezia con la Pomerania, quelle d'Inghilterra e di Prussia con lo Hannover. Oggi pensa di mediatizzare il Nassau, domani offre a quella Casa la presidenza della dieta dei principi della Confederazione del Reno. Nel 1805 dichiara solennemente, che l'impero non estenderà oltre le sue frontiere; e la parola è appena pronunziata, che Genova viene annessa. Nello stesso anno promette, che per l'avvenire la corona d'Italia rimarrebbe separata da quella di Francia; due anni dopo rimangia la promessa. A Tilsit scrive allo czar, e allora senza dubbio con tutta serietà, che il suo dominio diretto non avrebbe mai oltrepassato l'Elba: tre anni dopo l'annessione di Amburgo "è offerta dalle circostanze". Dopo abbassati i re legittimi, spoglia i propri fratelli.
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