Ponderiamo bene questo fatto, e ravviseremo la terribile verità nel folle detto di Blücher: "lasciatelo fare, egli in fondo è un minchione".
La fertilità della fantasia del côrso sopravanza i più temerari sogni poetici. I suoi piani di guerra sono giganteschi. Quale disegno, quello che meditò nel campo di Boulogne! La sua flotta doveva attirare nelle Indie quella inglese, poi ritornare, sterminarla nella Manica e aprire la traversata all'imperatore! e, subito dopo, la corsa gloriosa dalla Manica al Danubio! Eppure quest'uomo, non ostante la sua fantasia inesauribile, non è che una natura prosaica. Dell'orgia di cose belle, in cui ha lussuriato il secolo decimottavo, assai di rado ne è filtrato un raggio in quel cuore: appena per poco lo hanno occupato i dolori di Werther o Ossian. Nella lunga serie delle lettere si cerca invano un luogo, che palesi un diletto disinteressato, umano, dell'arte e della scienza. Affermi pure egli stesso di tanto in tanto, che qualche amico leale della verità c'è, ed è da cercarsi forse proprio tra gl'ipocriti, ai quali si dà il nome di persone colte: nulladimeno, non crede alla nobiltà dell'anima umana. Tutti i pensieri ideali sono per lui "romanzi", abbastanza opportuni pei proclami e i discorsi a stampa. Perciò in lui, come in tutte le nature scettiche, non esiste sviluppo: il suo procedere nella lotta della vita è duro e feroce, e in sostanza non corre differenza alcuna tra l'alunno del collegio militare e l'imperatore. Si ascolti ciò che diceva dei francesi il giovinotto di ventitré anni: "sono un popolo invecchiato, senza connessione intima; ognuno pensa solo a sé; vivere alla propria famiglia con 5000 lire di rendita, ecco la suprema saggezza". Si legga ciò che della condotta sempre più dispotica del giovine eroe racconta Lemercier, commensale quotidiano di Giuseppina alla Malmaison, e si raffronti coi discorsi sprezzanti del dominatore del mondo sulla "canaglia". Quale desolante uniformità in cotesta personalità così grande!
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