Una tacita congiura di tutti i popoli intreccia mille legami di relazioni amichevoli intorno al mondo; le nazioni stabiliscono quel "regno della ragione", che Napoleone esaltava a parole e attraversava coi fatti. La grandezza insanguinata dell'impero, ai figli di un tempo più umano voltisi indietro a guardarla, apparve come l'ultimo spaventevole divampamento delle passioni ferine, che nei tempi andati avevano sconvolto l'Europa; come un avvertimento, che il bruto sonnecchia anche nell'anima dei popoli provetti nella civiltà. Napoleone volle condurre in lizza la terraferma contro l'Inghilterra. Non appena fu caduto, una benefica necessità, ad onta dei reciproci pregiudizi nazionali, provocò quella intesa delle potenze occidentali, che fino a oggi non è stata più rotta in modo duraturo. Egli aspirava a un impero e a una civiltà mondiale. La sua fine dimostrò, che in questa libera fratellanza delle nazioni indipendenti non c'è posto per un cesare, e che da allora tutti i popoli hanno con più profonda coscienza custodito e perfezionato il proprio carattere nazionale.
Il nipote dà all'imperatore il vanto di aver gettato in Italia e in Germania il germe del movimento nazionale. Oh, senza dubbio, il cavallo brutalmente frustato, che s'impenna e si slancia al largo, deve la libertà all'imprudenza del cavaliere! Per la stessa ragione Napoleone merita la gratitudine dei nostri patrioti. Egli adempì quella necessità, che noi allora con le nostre proprie forze non eravamo in grado di compiere; egli mise in frantumi qualche centinaio di staterelli imputriditi e le forme esanimi del santo impero o, come dice ammirativamente il nipote, liberò la Germania meridionale dal giogo del sacro romano impero, e degli stati sovrani centrali si fece un baluardo.
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