Ma il ringiovanimento dei popoli malandati dell'antichità non accade punto, come spesso è avvenuto modernamente in Germania e in Ispagna e in Italia, per una libera ricezione ed una elaborazione affatto autonoma degli elementi di civiltà straniera. Le nazioni antiche non mostrano cotesta inclinazione così forte ad assimilarsi la cultura forestiera, se non quando il loro spirito di gioventù è spento e la loro nazionalità si è involata.
Questa rigidità arcigna del costume nazionale, questa incapacità del mondo antico ad ammettere un pacifico equilibrio degli stati, spinse avanti il senato romano sulla via della politica di conquista. L'unilateralità della civiltà antica sparve, senza dubbio, quando finalmente i popoli del Mediterraneo ubbidirono alla città italica; ma era morta anche l'energia nazionale dei popoli insieme fusi, e con questa la radice di ogni grandezza ed originalità del mondo antico. In tale mondo non rimaneva posto alcuno per uno stato che fosse nello stesso tempo nazionale e incivilito. La pressione dei governatori fenici ed egiziani, asiatici e greci e, per la misura non certo la meno notevole, quella dei romani, avevano soffocato nel complesso delle provincie ogni sentimento ideale. La civiltà cartaginese era schiacciata. Dei barbari assoggettati, poi, alcuni erano già penetrati dell'umanità nell'impero, altri le stavano davanti così rudi e forastici, che uno stato nazionale costituito da loro avrebbe significato la morte di ogni civiltà. Gli Elleni fin dal tempo di Alessandro avevano cessato di essere una nazione separata.
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