Guardiamo con fredda calma gli dèi di Tacito caduti a terra, tra le angosce dei mortali. La cultura dell'epoca ricorda le fabbriche di Costantino: anche queste sono suntuose, non senza qualche tratto di grandezza, ma sono costruite di frammenti, di colonne e archi che un tempo servivano a edifizi più belli. Virgilio e Orazio scrivono versi greci con parole latine, e non di rado sentiamo, che cotesti sono frutti di stufa. Nulladimeno, quelle opere costituiscono la più ricca e potente letteratura mondiale che sia mai esistita, e sono tanto originali, quanto può esserlo una letteratura priva di carattere nazionale. Pure non è piccola gloria, se sotto la protezione dell'impero potevano sorgere nell'anima di popoli affaticati creazioni tanto notevoli; se Roma, già sazia da gran tempo delle voluttà e dei vizi di tutti i paesi, si adornava ancora con le grazie artistiche dell'ampio mondo e si copriva di una veste magnifica di marmi e di ori. L'arte mondiale dell'epoca dei Cesari era il frutto naturale maturato dalla dissoluzione di tutte le civiltà nazionali dell'antichità. Napoleone sognava una letteratura mondiale in un popolo, che aveva vantato recentemente, in Voltaire e gli enciclopedisti, scrittori puramente nazionali, e poco dopo salutava poeti anche più espressamente e recisamente nazionali in Béranger e George Sand.
Lo stato normale del mondo moderno è la pace. Proprio nel secolo decimottavo, sotto il terrore delle guerre di gabinetto, la dottrina della pace perpetua ha trovato eloquenti propugnatori tra i più nobili intelletti.
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