Di Cesare è stato riferito, che ripeteva volentieri i versi di Euripide:
e?pe? ??? ad??e?? ???, t??a???d?? p???
?a???st?? ad??e?? ta??a de?seße?? ??e??.
(Se è necessario operare contro giustizia, è bello operare contro giustizia per ragion di regno; in tutto il resto è necessaria la giustizia e la pietà). E visse fedele alla massima. Si assunse la colpa enorme; ma non l'avrebbe evitata nessuno, che si fosse proposto di fondare il trono, e di restaurare il mondo nelle sue ragioni. Però davanti alla figura di Cesare uomo ci sorprende sempre come un'emozione nuova lo stupore, che solo in un'epoca simile fu possibile una così pura grandezza. Quel sovrano nato, per quanto erri e pecchi fintanto che vive tra i piccoli uomini come un loro pari, giunto poi sul trono, dispiega tutta quanta la nobiltà della sua natura regale; proprio l'opposto di Napoleone, a cui il godimento del potere infatua il cervello e spinge fuori alla luce quanto aveva di brutto nell'anima. Sopra tutto ci entusiasma il vedere con quanta pienezza e sicurezza Cesare è radicato al suo popolo. Egli spiega la resistenza dei Germani al suo esercito osservando francamente, che "tutti gli uomini per natura aspirano alla libertà e odiano la servitù". L'imparzialità pagana di tali parole dimostra quanto era romano chi le scrisse. Il figlio di un tal popolo sovente a noi moderni si rivela inumano. Solo che a noi non piace udire proprio dalla bocca di Napoleone I il biasimo alla condanna di Uxellodunum e allo scempio degli Usipeti; perché, duro coi barbari alla maniera romana, Cesare ha usato coi compatrioti la bontà di un animo elevato, quale Napoleone non l'ha mostrata pei francesi.
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