Era il contrasto di due epoche divise da un mondo. Il paese motteggiava e beffava, quando i suoi re sanavano un'altra volta i gozzi, quando erano cavati fuori a spettacolo l'orifiamma e l'olio di san Clodoveo, e i paggetti, e i vecchi moschettieri canuti, e tutta la rinchiusa e muffita cianfruscaglia del ripostiglio dinastico; quando il vive Henri IV! e la charmante Gabrielle erano rappresentati davanti a un popolo, che aveva tuttora negli orecchi le note inebbrianti della marsigliese. E si poté vedere a quali immagini fosse legato il cuore della nazione, quando il generale Foy tra i plausi frenetici rivendicò alla Francia il tricolore. E non solo il dileggio, ma una grave e ben giustificata sollecitudine invase i ben pensanti, quando il re in virtù del suo diritto regio largì di buon grado la carta costituzionale, che in effetto gli era stata strappata dalla natura delle cose, e si arrischiò di parlare nuovamente a questo popolo, lieto del suo diritto, come a sudditi fedeli. Se la nazione scoteva il capo al nome di Luigi il Grosso e di San Luigi e degli altri illustri antenati, che il re pronunziava volentieri, molti personaggi della Real Casa, però, non avevano mai sentito far parola del maresciallo Ney, e anche i più notevoli degli emigrati, come Richelieu, stavano lì perplessi, ignoranti fino al ridicolo dell'anima nuova di questa giovine Francia, che non avevano più calcata in venticinque anni di prodigiosi trasmutamenti.
Questo contrasto di vedute era aggravato dalla disastrosa inimicizia delle persone.
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