Quando gli ultralegittimisti accumulavano pazzie su pazzie, Metternich scrisse: "i legittimisti legittimano la rivoluzione". Solo i tories inglesi guardavano con lieta fiducia il nuovo stato di cose in Francia, ma anche tra loro i più avveduti principiarono fin dal 1818 a dubitare dell'avvenire della dinastia, secondo che provano i volumi recentemente pubblicati dei dispacci di Wellington.
Come tutti i governi a loro succeduti, i Borboni non uscirono mai interamente dalla lotta per la propria esistenza; come tutti i successori, essi hanno dovuto sempre tornare a dichiarare, che al paese si sarebbe concessa la piena libertà non appena i principii fondamentali del sistema fossero universalmente conosciuti. Un piccolo ma istruttivo sintomo di questa poca sicurezza di tutti i capi di governo è, per esempio, la straordinaria fecondità della zecca francese: ogni nuovo sovrano desidera di vedere subito la propria effigie in palma di mano. La frivola infedeltà celta, il ridendo frangere fidem che esasperava i Romani, ha perduto dopo tante rivoluzioni sanguinose ogni vergogna. La nazione era abituata a scusare ogni violazione del proprio dovere con un bon mot, con un couplet, con un sorridente que voulez-vous? c'est plus fort que moi! principiava ormai a considerare lo spergiuro politico come un suo diritto acquisito. I nostri radicali possono apprendere dalla storia modernissima della Francia, che dietro la parola abusata e coperta di ridicolo "dinastia avita" si nasconde una significazione seria: una dinastia nazionale cresciuta insieme col paese è sempre un incommensurabile benefizio civile anche per la nostra generazione democratica.
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