Stampa e tribuna risuonavano nuovamente di rimbrotti contro la tirannide della Congregazione. Il liberalismo, svegliato di soprassalto, corse alla difesa con tutti i mezzi, e costrinse infine il re Carlo, che se ne discolpò umilmente presso il santo Padre, a violare la carta e ad escludere dall'insegnamento i membri della richiamata Compagnia di Gesù. Ciò non ostante, le persone colte perdurarono nell'opinione, che una casta di preti fanatici era padrona dello stato. Preti ed emigrati scavarono la fossa alla dinastia.
III.
Con tutto ciò, non abbiamo ancora posto il dito sul male fondamentale della costituzione in Francia. In sostanza, cotesto stato burocratico napoleonico, col suo parlamento appiccicato, era un'astrattezza; nemmeno una dinastia nazionale e un popolo meno ingovernabile avrebbero potuto conciliarsi in pace in uno stato che effettivamente era diviso al cuore. Quando il barone di Blittersdorff visitò Parigi nel 1824, sentì dovunque la lagnanza: "noi abbiamo il dispotismo di Bonaparte, sfruttato dagli emigrati". Similmente scrisse del bonapartismo Paul Louis Courier: c'est un empire qui dure encore. La lagnanza era ben fondata; ma si errava, se si attribuiva la colpa a mala intenzione dei governanti. Il difetto era insito nelle stesse istituzioni. La sconsolata incapacità di Guizot a cavar lume dalle cose, non si mostra mai così acuta, come quando ripete il vecchio errore dei dottrinari: che lo strumento, la Carta, era eccellente, ma gli mancava l'artefice abile e bene ispirato.
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