Nel modo stesso come in altri tempi l'uno e l'altro cardinale, odiati senza misericordia, pure avevano trovato nei ceti più pacifici della nazione i compagni di lotta contro la nobiltà delle provincie, così anche adesso nessun partito, salvo il legittimista, si attentava sul serio a mettere in agitazione la nuova classe degl'impiegati, perché la sua legge di vita era l'eguaglianza. Tutti i rinomati teorici del diritto amministrativo, da Cormenin, spirito positivo e nazionale, come lo definisce Napoleone III, fino a Laferrière, sono unanimi nell'elogio della burocrazia nazionale. L'ambizione e quella ristrettezza di mezzi, che regna di regola nel paese dell'eguaglianza ereditaria e della prodigalità gaudente, spingono fuori ogni anno dalle classi medie una moltitudine di giovani forze aspiranti agl'impieghi. La nobiltà territoriale non aveva né la popolarità né la buona volontà di dirigere essa stessa l'amministrazione del paese in nome della legge, e, con la limitata ripartizione della proprietà fondiaria, era ben limitato il numero degli uomini che avrebbero potuto assumere le cariche. Bordeaux e Lione erano tuttora liete della loro gloria antica, Tolosa si nominava volentieri la ville reine del mezzogiorno, e il marsigliese cianciava: "se Parigi avesse la Cannebière, sarebbe una piccola Marsiglia". Ma da queste velleità di orgoglio e vanità municipale alla seria volontà di prendere nelle proprie mani gli affari del comune, la via è lunga. La piccola prosa della vita comunale era considerata, come nel secolo decimottavo, poco degna dell'uomo colto, che doveva riservarsi solo agli eccitanti problemi della grande politica.
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