L'amministrazione dispotica, che impacciava ogni libero movimento delle energie popolari, aveva in ciò qualche colpa: una rampogna anche più aspra colpì i capi dell'opposizione. In quella circostanza principalmente, Lafayette chiuse con una fine degna una vita piena di peccati. Egli era sempre il vecchio Grandison-Cromwell, bollato a fuoco da Mirabeau: un bel parlatore sentimentale, che aveva infatuato la gioventù coi suoi discorsi unguentosi sulla santa insurrezione; e un ambizioso intrigante, che aveva alimentato senza coscienza le più brutali abitudini del tempo della Rivoluzione, ed era riuscito a distruggere chi sa per quanto nel popolo il senso della legalità. Cotesto malcontento divoratore si manifestava in innumerevoli tumulti, attentati, ammutinamenti militari. Il movimento rivoluzionario non si prefiggeva uno scopo definito: alcuni sognavano la repubblica, altri speravano su Napoleone II, altri ancora sul duca d'Orléans.
Il sentimento comune dei cospiratori era l'irreligiosità. Il risveglio del partito ultramontano aveva, per rapido contraccolpo, risuscitato l'anticlericalismo della Rivoluzione; giacché in quest'epoca mondiale soltanto l'odio all'intolleranza della Chiesa era in grado di accalorare le classi cólte a prender parte alle questioni di fede. Gazzette e clubs, caricature e teatri si accanivano nel dileggio dei preti; il contrassegno dei liberali era l'avversione alla Chiesa. Come da una parte la corte si adoperava a schiacciare il ricordo della Rivoluzione, così dall'altra tutti gli scontenti erano d'accordo nel farne l'apoteosi.
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