Quando l'emissario di Sant'Elena incaricato di annunziare all'Europa i misteri della petrosa isola fu, per ordine della corte di Vienna, arrestato e malmenato dalla polizia di Francoforte, trovò, appunto per questo, benevolo ascolto tra i malcontenti tedeschi. E molti anni dopo la morte di Napoleone, Hudson Lowe al suo apparire in Germania fu accusato dai liberali di tentato assassinio in danno del giovane Las Casas.
L'imperatore era morto: una lastra di pietra nuda coprì la tomba, a cui l'ignobile nemico ricusò anche il nome glorioso del defunto. Il testamento annunziava con quale ardore l'italiano aveva amato la sua Francia, raccomandava al figlio di rimanere francese e di dare un giorno al paese la libertà, come il padre gli aveva assicurato l'eguaglianza. Al piccolo uomo tornava lusinghiera la notizia, che il grande imperatore aveva legato i duecento milioni della sua privata fortuna all'esercito e, tra gli alleati, ai paesi esausti di frontiera; un incantevole riscontro al miliardo degli emigrati! E la fabbrica delle memorie intraprese subito il suo massiccio lavoro. Lettere, diari, conversazioni dell'imperatore inondano il mercato librario: un miscuglio mirabile di verità e di menzogna, di pensieri geniali e d'infernale malizia, diabolicamente interessante anche per l'avversario. La materia della storiografia imperialistica fu presto elaborata: Bignon e Ségur aprirono la serie di quella istorica faconda, agile, instancabile, ma in fondo sleale, che dominò per trent'anni sull'opinione media dell'Europa, e soffocò gl'ingenui racconti di un Droz o di un Barante.
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