Mi rimproverano
, disse Guizot, "di prender gusto a bravare il disfavore dell'opinione pubblica. È un errore; non ne ho mai fatto caso". Da un tale orgoglio derivò la noncuranza della stampa; che per un governo costituzionale è cosa imperdonabile. Solo che i ministri, come usava allora in Francia ogni uomo politico in vista, avevano ciascuno il suo scudiero letterario; anzi una di queste penne compiacenti scrisse perfino nel 1847 la famosa monografia La présidence du conseil de monsieur Guizot, in cui la sconfinata vanagloria del sistema si gonfia fino alla follia. Del rimanente, si era sicuri del pays légal: che cosa importava, che il popolino si ubbriacasse ai prodotti della stampa sovversiva? Si giudicò che non francasse la spesa di dare un'adeguata confutazione al libro di Luigi Blanc, così agile, e tanto pericoloso quanto facilmente confutabile, che si chiamava la Storia dei dieci anni.
Non è dubbio, che le accuse clamorose al système corrompu et corrupteur, al governo dei cumulards e alla tariffa della coscienza dei ministri, erano esagerate in modo incredibile dalla parzialità dell'odio settario francese. Appetto alla corruttela del secondo impero, le tacche morali della monarchia di luglio sono un balocco. E se indaghiamo acutamente, troviamo che, in fondo, la Francia ha goduto solo una volta un'amministrazione strettamente onesta: sotto Napoleone I, il quale seppe frenare in patria l'avidità dei suoi impiegati, e allentò loro le redini sul collo nei paesi esteri assoggettati.
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