Poco prima la nazione aveva respinto con lodevole moderazione gli arditi disegni di conquista di Polignac; adesso i vinti di Waterloo avevano riportato la vittoria sulle barricate, e subito mille e mille voci levarono il grido: "vendichiamo Waterloo!" quasi che la battaglia della Belle-Alliance non fosse stata essa stessa la vendetta di un nefando assassinio!
Soltanto l'odio può negare, che l'istinto propagandistico dei francesi non era fatto solamente e sempre di fatua vanagloria, ma che in fondo era mosso da un generoso idealismo: un senso di magnanimità, attraverso a mille intorbidazioni, emanava innegabilmente dalle imprese di conquista della Convenzione, dalla campagna italiana di Napoleone III e, soprattutto, dalla guerra più moralmente pura della Francia moderna: la lotta per l'indipendenza dell'America del Nord. Anche in questo caso venivano a intrecciarsi tra loro le passioni nobili e le riprovevoli, vaghezza di gloria e cupidigia, orgoglio e fantasticherie di felicitamento di popoli, ma soprattutto, nel modo più acuto, la smania incontentabile di novità, che attraeva a una grande guerra per la libertà questa generazione nervosamente sovreccitata. Per diciotto anni il motto di prammatica della stampa guerrafondaia fu: la France s'ennuie! Quanto poi al calcolo del possibile e delle alleanze europee, quelle teste esaltate non se ne erano mai date pensiero. "La Francia isolata", braveggiava un foglio radicale durante le faccende egiziane, "vuol dire la Francia alla testa delle nazioni!
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