La prima ansia era sparita, l'innocua timidità del nuovo regime non tardò a palesarsi, e i conservatori intelligenti finirono con l'accordarsi sulla verità espressa da Wellington, che il nostro sistema di stati non può fare a meno di nessuno dei grandi stati che lo costituiscono, e che in Europa non può compiersi nulla di duraturo sulla via della pace senza la cooperazione della Francia. L'affiatamento delle grandi potenze tedesche diveniva evidentemente più stretto; e principiò tra Luigi Filippo e il cancelliere quel vivo e accurato carteggio, che la diplomazia conobbe come le commérage(13) politique dei due vecchi. Il re assicurava incessantemente della propria gratitudine indelebile le corti tedesche, protestava il suo odio a quelle idee americane che avvelenavano il continente, lamentava: "le nostre istituzioni dànno buona garanzia contro, non a favore del potere governativo". Pregava che si distinguesse nettamente tra lui e la rivoluzione, e sollecitava premurosamente l'assistenza dei tre gabinetti orientali: "in tal caso potrei fare di più per l'ordine". Per ringraziamento, il principe di Metternich oberava il docile allievo con una lunga sequela di quelle disputazioni politiche infinitamente istruttive che gli erano care, lo esortava a perseverare sulla via della sana politica ad onta della debole maggioranza parlamentare, e via dicendo. Il ministro Ancillon, che ebbe visione di queste lettere per mezzo dell'ambasciata di Vienna, ne andava in gongolo: "il cuore del re non potrà resistere a un predicatore politico di tal forza". E Gentz, la cui pigrizia si adattava volentieri a fare di necessità virtù, adesso ripigliava fiato e opinava, che legittimità e sovranità popolare non sono assoluti opposti, e che anzi possono intendersela tra loro come cattolicismo e protestantismo: "giacché ormai la sovranità popolare è interpretata in modo, che travalica impercettibilmente in una nuova legittimità".
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