Per contro, lo czar era inesorabile. Fin dall'estate del 1830 aveva proibito ai russi l'aria appestata della Francia, e non passò anno che egli all'odiato re borghese non desse una prova di quella rudezza destituita di qualunque riguardo, che in quei tempi in cui la potenza russa era al colmo, era ammirata dai nostri piccoli re come una geniale forza di carattere. Non ci fu via di dissuaderlo, che quel ladro di corone sarebbe stato a capo della rivoluzione europea: a sentirlo, cotesti borghesi non si sarebbero intrusi mai più nella parentela delle corti legittime. "Lo czar", si lagnò Luigi Filippo con l'ambasciatore d'Austria, "vuol condannare la mia famiglia alla castrazione". In effetto, era uno spettacolo assai umiliante per l'orgogliosa Francia vedere il principe ereditario piatire vanamente la mano di qualche principessa delle maggiori case regnanti. Perfino la corte dello Schwerin non stimò conveniente il parentado con la casa del re borghese, e soltanto la benevolenza personale del re di Prussia procurò alla fine al duca d'Orléans la principessa Elena: une princesse anodine, motteggiò Metternich tra i suoi intimi.
D'altra parte, chi mai avrebbe serbato stima di un gabinetto, di cui ogni giorno che passava adduceva nuove prove di menzogna? Il governo, anche nel novembre del 1833, respinse con altezzose espressioni l'invito delle potenze orientali alla stretta osservanza delle misure sui fuorusciti; mentre, proprio nello stesso tempo, la polizia segreta parigina teneva regolarmente informate le corti legittime sulle mene dei rivoluzionari.
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