La questione dell'unità nazionale trionfò alla fine di tutte le aberrazioni dello spirito partigiano, e gl'intrighi stranieri ebbero una fine vergognosa.
La monarchia di luglio annunziò il proprio avvento alle grandi potenze con un ribocco di espressioni pateticamente liberali: il diritto di disporre di sé, del quale la Francia si era fatta ragione, appartiene anche a tutte le altre nazioni. Cotesto principio del non intervento, che rispondeva evidentemente a un concetto fondamentale giusto, ma che nella sua sterilità dottrinale calzava tanto poco alla complicatissima rete dei nostri stati confederati quanto le teorie dell'intervento della Santa Alleanza, gittò al suo apparire un terrore enorme nelle corti conservatrici. Il principe di Metternich lamentò "questo nuovo e inaudito diritto dei popoli, questo sovvertimento di tutte le regole che hanno governato finora la politica degli stati europei". La corte di Vienna, però, ebbe presto motivo di tranquillarsi; perché, quando l'Austria soffocò la rivoluzione nell'Italia centrale facendo marciare due volte le proprie truppe negli stati pontifici, e affermò imperturbabilmente la propria sovranità sulla Penisola non ostante il disordine delle sue forze militari palese a tutti gl'intenditori, il re borghese spedì ad Ancona un debole corpo francese e fece dichiarare segretamente all'ambasciatore austriaco, che questa occupazione era seguita per pura ragion di forma, per puro riguardo all'orgoglio nazionale francese! Per altro, un equo giudizio riconosce, che le dichiarazioni sleali del governo alle camere erano spesso imposte dalla necessità: le interpellanze incessanti sugli affari in corso della politica estera, costituivano un abuso innaturale, penoso anche pel più abile ministro.
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