Principiava in Italia quel gran movimento, che doveva condurla infallibilmente alla lotta contro il dominio forestiero. Ma Guizot incoraggia, sì, il papa alle riforme liberali, e manda fucili alla guardia nazionale romana; contemporaneamente, però, raccoglie nel Mezzogiorno della Francia, a tutela del papato temporale quell'esercito, che poi effettivamente sotto la repubblica va a combattere sul Gianicolo. Egli scongiura il partito riformatore di serbare al movimento un carattere romano, toscano, piemontese, perché una quistione italiana sarebbe la rivoluzione! Avesse almeno accettato le idee federalistiche del suo ambasciatore Rossi, l'inconsistenza delle quali a quel tempo non era ancora provata! Mai più: l'austero conservatore consentiva invece nell'opinione di Mazzini, che all'Italia rimanesse soltanto la scelta tra l'Austria e l'anarchia. I suoi fogli ufficiosi usavano il linguaggio più ignobile verso Carlo Alberto di Sardegna, insospettivano le corti sulle ambizioni del Piemonte, esaltavano Ferdinando di Napoli come il re nazionale della Penisola. L'ambasciatore a Torino dichiarò, che lo scritto moderatissimo di Cesare Balbo le Speranze d'Italia, era un'offesa alla Francia; e il ministro in persona fu sferzato dall'annichilante ironia di Cavour, perché la mattina esprimeva al principe Brignole il compiacimento del re borghese per le riforme albertine, e la sera si lagnava col conte Appony della politica di avventure dei piemontesi! Nel 1848 Guizot dichiarò, che a Napoli la costituzione era possibile al più presto fra dieci anni, e proprio allora i Borboni impauriti l'avevano già proclamata.
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