Una nuova legge di espulsione inibì ai Bonaparte insieme e ai Borboni il suolo della Francia, non però sotto pena capitale. Il re volle sottoporre a una medesima legge le due dinastie detronizzate con l'intenzione, che il popolo considerasse l'una e l'altra come forze della reazione dirette contro la libera corona borghese. Non appena sorse nel Belgio il disegno di chiamare al nuovo trono un Leuchtenberg, il re fu spinto dal timore a un passo ardito: fece propalare a Brusselle la voce, che egli avrebbe visto volentieri l'esaltazione del figlio, il duca di Nemours. Scansata con questa mossa la candidatura del napoleonide, la politica borghese ricadde nella sua consueta sterilità, e rinunziò magnanimamente all'elevazione del proprio principe. Abbiamo già ricordato, che l'apprensione ispirata dall'esule Luigi Bonaparte, protettore dei profughi polacchi, aveva provocato una minaccia di guerra alla Svizzera. È meno noto, che anche la politica interna del re moveva da timori somiglianti. Il conte Molé con sorprendente diligenza aveva fatto fin dal settembre 1830 dichiarare a Vienna, che il suo re avrebbe mantenuto l'espulsione dei napoleonidi; e il nuovo ambasciatore conte Belliard, appena arrivato sul Danubio, manifestò l'intenzione di un abboccamento con Maria Luisa e il duca di Reichstadt: "desiderio abbastanza indiscreto, che naturalmente gli fu rifiutato". Da allora il principe di Metternich capì i punti deboli del governo di luglio. Troppo aveva egli tremato davanti al giovine Napoleone; e adesso volle "farsene un'arma per ridurre in Francia taluni partiti alla ragione(15)". S'intende da sé, che il tremebondo statista non si propose mai, sul serio
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