V.
Il principe Luigi attraverso gli ultimi anni dell'impero aveva acquistato una coscienza alquanto più chiara che non il suo disgraziato cugino: egli sedeva con sua madre dietro l'imperatore quando nei cento giorni fu pomposamente celebrata sul campo di maggio l'ultima grande solennità dell'impero. In seguito, la vita provvisoria del profugo lo indurò alle difficoltà finanziarie, alla strategia dei debiti. Il giovine che da fanciullo aveva visto i genitori divisi dall'infedeltà e dall'incompatibilità, era necessariamente portato a farsi un'opinione cinica degli uomini. Non per questo, però, la vita di questo giovine era del tutto nuda di sentimento; giacché sul fanciullo vegliava la tenerezza di una madre piena d'ingegno, dotata di animo gagliardo sebbene priva di senso morale, agitata da un ardente entusiasmo per l'impero. Come la più parte degli uomini notevoli, egli doveva a sua madre la sostanza migliore della vita. Questo principe, in contrasto reciso con l'impetuosità del duca di Reichstadt, palesò di buon'ora un temperamento flemmatico, quasi che nelle vene gli fluisse sangue olandese; e appunto cotesta indole non francese, la quale non esclude menomamente passioni vigorose e tenaci, lo fece atto a osservare spregiudicatamente la nazione francese, come se gli fosse straniera. Conobbe nella dotta scuola di Augusta l'idealismo della nostra educazione classica, a Roma la maestà del mondo antico; ma alla sua natura fredda era affatto ignota la fantasia rovente, che un tempo incatenò irresistibilmente lo zio agli eroi di Plutarco.
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