Di un rinnovamento della monarchia universale non si parla affatto. Anche nella vita interna dello stato il pretendente ripudia la cruda forma di dispotismo che si manifestò nell'impero, e vuol tornare al suo ideale, che è la costituzione consolare. Egli concede, che Napoleone ha portato a termine soltanto la rivoluzione sociale, non la politica, ed evita puramente la questione, se sul terreno della dittatura consolare sia possibile in generale la formazione progressiva della libertà politica.
Il principe Luigi non ha menomamente disdegnato le male arti usate da tutti i pretendenti, e il rumore, che va connesso con quel mestiere; nulladimeno non si può affermare, che egli in sostanza abbia illuso il suo popolo con fragorose promesse. La costituzione che diede ai francesi il 14 gennaio 1852 è effettivamente un calco della costituzione consolare; nella prefazione, che vi è preposta, le tesi principali sostenute negli scritti del pretendente ritornano quasi a parola. Una siffatta coerenza è rara nella vita di uno statista duramente incalzato dalla spinta delle cose. Anche noi avversari dobbiamo stimare la sicurezza di coscienza, che mosse l'imperatore a ripubblicare inalterati i suoi scritti giovanili. S'intende, che qualche punto nero è tralasciato; per esempio, l'umile lettera a Luigi Filippo. Ma in complesso l'imperatore può vantarsi, che l'uomo mantiene ciò che il giovine promise. Il principe non dispensa mai, nemmeno negli articoli di gazzetta fatti per accarezzare il favore delle moltitudini, mai una parola di lode alle idee parlamentaristiche del suo tempo.
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