Il bonapartismo, come partito organizzato, ebbe sempre una assai scarsa importanza. Possedeva strumenti devoti nei deputati côrsi Pietri e Conti; e più tardi acquistò con Emilio Girardin, rottosi con Cavaignac, un alleato pericoloso, e con la Presse un organo abilissimo, senza coscienza. Si contava con sicurezza anche sul rappresentante radicale del popolo Napoleone Bonaparte, figlio di Girolamo, il quale gareggiava col cugino Pietro in tonanti invettive contro la foia omicida dei re.
Più seguito ebbe la condotta dello stesso pretendente. Non lasciò correre un istante, che non profittasse dell'ora favorevole: per cinque volte in cinque mesi diede con lettere pubbliche notizia di sé alla nazione. E nel febbraio apparve a Parigi "per mettersi al servizio della sua patria". Nella lettera al governo provvisorio viene espressa l'esatta concezione bonapartistica della rivoluzione di febbraio: egli ammira il popolo di Parigi il quale "ha eroicamente cancellato le ultime tracce dell'invasione straniera". Accolto dal governo con diffidenza, ritornò subito a Londra, dopo aver dichiarato con un'altra lettera ai governanti: "Dal mio sacrifizio riconosceranno la purezza delle mie intenzioni". Nelle elezioni dell'assemblea nazionale nel giugno, il nome del principe sortì in quattro dipartimenti, anche a Parigi, mentre vigeva tuttora a suo danno la legge di proscrizione. Il governo propose che fosse mantenuta. Ma siccome i radicali, con a capo Jules Favre, espressero la fiducia, che i Bonaparte non potevano più in nessun modo riuscire né ora né poi pericolosi alla repubblica, si decise per la riammissione del principe.
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