L'enorme illusione, in preda alla quale viveva allora la società colta di Parigi, insegna quanto sia alta la barriera che anche nei nostri tempi democratici separa i ceti colti dagl'incolti; e, insieme, ci consente di rivolgere uno sguardo profondo sulla condizione innaturale di uno stato accentrato troppo eccessivamente, in cui era stata affatto dimenticata l'esistenza delle provincie.
Per noi che li abbiamo risaliti alle origini, non serbano più alcun mistero i motivi che condussero all'elezione del pretendente. La paura dello spettro rosso continuò a essere la passione dominante nel ceto degli abbienti. Dovunque in Europa la marea primaverile era in decrescenza, dovunque sorgeva quello sciagurato desiderio d'intorpidimento, quell'indolenza, che nel nostro paese ebbe la sua espressione caratteristica nella massima: ci vogliono i soldati contro i democratici. Nelle mani del pretendente le aberrazioni del radicalismo europeo fruttavano. Abitudine e ottusità, tardità e preoccupazione economica, che sono le alleate tradizionali della reazione, dominavano sui cervelli dei contadini. La dittatura di Cavaignac non era altro che un momento dell'eterna lotta pei fondamenti della società; ma il contadino aspirava ad una tranquillità più durevole. I meriti del generale, che per altro non erano menomamente comparabili con le splendide gesta alle quali un tempo Bonaparte si era richiamato, valevano ben poco per le popolazioni campagnuole; d'altronde i contadini lo conoscevano appena: per loro era puramente uno degli aborriti repubblicani.
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