Contro ogni aspettazione, l'esercito in principio si mostrò poco sensibile alla malia del gran nome militare. Certo, la stella di Cavaignac era sul tramonto anche nel mondo militare. Gli ufficiali si aspettavano, che egli presto avrebbe cacciato via l'assemblea nazionale con un napoleonico le règne du bavardage est fini! giacché tra loro non aveva misura l'odio contro i pékins, cioè i ciarloni, gli avvocati. Quando invece serbò, col concorso di Charras, Lamoricière, Leflô, un irreprensibile contegno parlamentare, l'autorità del generale africano principiò ad affievolirsi nelle truppe. Ma siccome il pretendente era egli stesso un pékin, il suo nome riuscì a soppiantare solo in alcuni reggimenti quello del valoroso generale. Gli uomini delle grandi guarnigioni erano in parte conquistati al comunismo. Insomma l'armata, che avrebbe deciso un tempo, come ognuno presentiva, del destino della Francia, era apertamente divisa di sentimento. Né, oltre le due forze prepotenti dell'istinto monarchico e della gloria napoleonica, si contavano le ragioni concorrenti, che presso i partiti facevano inclinare la bilancia dalla parte del principe. Un grande gruppo realista credeva fermamente, che il principe avrebbe costituito per loro il ponte di passaggio: un pretendente per l'altro pretendente! La più preziosa virtù del triste sciocco non sarebbe altro che la buona volontà di sobbarcarsi. Molti socialisti pensavano egualmente: il principe sarà presto logoro; allora verrà il momento per noi.
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