Tanto meno parve tollerabile l'intervento armato degli austriaci e dei napoletani a Roma. Ma gli uomini d'ordine tuonarono contro il radicalismo magnanimo degli ardimentosi triumviri romani, gli ultramontani lamentarono il derubamento del Patrimonium Petri, e anche protestanti liberali, come Coquerel, in quei giorni di felicità reazionaria levarono al cielo il papa come il migliore amico della libertà. Da tali imbarazzanti contraddizioni sorse in fine il disegno, che la Francia sarebbe intervenuta a favore del papa, insieme, e della libertà. Luigi Bonaparte previdentemente, fin da prima della sua elezione, aveva cercato di destreggiarsi tra le due direzioni: il due dicembre scrisse al nunzio, che non aveva niente di comune in Roma col cugino radicale Canino, e che egli voleva il ristabilimento dello stato pontificio; cinque giorni più tardi scrisse sul Constitutionel, che, non ostante tutto, non approvava la spedizione a Roma. Quando salì al governo, l'impresa romana era già cosa conclusa, e l'uomo che un tempo aveva indetto guerra al papato temporale, fu condotto a limarsi per cinque mesi nel tentativo impossibile di far giustizia nello stesso tempo al papa e al liberalismo. Il primo atto importante di politica estera della repubblica, la quale "non doveva mai movere guerre contro la libertà degli altri popoli", si aprì con uno strappo alla costituzione; la prima spedizione guerresca del napoleonide, con una rotta. La nuova assemblea nazionale spinse finalmente le cose alla piega decisiva.
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