Diffidante, Thiers esclamò: l'empire est fait.
Milioni di uomini sentivano, che questa lotta senza uscita tra i due supremi poteri dello stato non poteva, non doveva durare. Una cupa astiosità si appesantiva sul paese. Nessuno voleva esprimere la propria opinione, perché da tutti si temeva; e nessuno poteva esprimerla, perché la stessa fantasia degli uomini era mutila: non avevano alcun concetto, alcuna idea dell'imminente futuro. L'ipocondrico scritto di Raudot sulla decadenza della Francia, che fu una mortificazione per la boria nazionale, contò, non ostante le esagerazioni, numerosi lettori. Efficacia anche maggiore ottenne lo scritto brutale di Romieu sullo "spettro rosso", con la sua faziosa requisitoria contro "il popolo, questa bestia feroce e stupida". Gli almanacchi e i fogli clandestini, di cui si nutriva la borghesia di provincia, si compiacevano d'infinite invettive contro i nemici della proprietà. L'industria e il commercio non erano in grado di elevarsi, la scienza e l'arte tacevano affatto. La gente si consolava tuttora col pensiero, che cotesta era la conseguenza dei giorni turbolenti; solo più tardi si riconobbe, che effettivamente, dopo la febbre degli ultimi sessant'anni, la forza creatrice della nazione era giaciuta alquanto tempo appassita.
Se non che, piú grave di tutte le sollecitudini del momento, premeva l'ansietà degli enimmi del 1852, anno che avrebbe portato contemporaneamente l'elezione del presidente e dell'assemblea nazionale. Il clero, che da tre anni si era tenuto lontano dal pretendente, ora, dopo la caduta della repubblica romana, era entrato con riconoscenza tra le fila bonapartiste.
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