Il sistema delle deportazioni e delle proscrizioni, maneggiato dall'assemblea nazionale con così miserabile maltalento, si ritorse adesso contro i suoi autori. È ben lecito calcolare, che durante lo stato d'assedio proclamato su una gran parte del paese, 80.000 persone furono imprigionate: nemmeno a Napoli e a Roma la reazione aveva così radicalmente fatto piazza pulita degli avversari.
Tra gli avvenimenti della rivoluzione di brumaio il giudizio morale stima il più obbrobrioso non già la brutale irruzione della soldatesca nella sala dei cinquecento, ma la seduta serotina del 19 brumaio, non menzionata dalla maggior parte delle opere storiche, nella quale essa medesima, l'assemblea dei cinquecento, dichiarò di avere il generale Bonaparte ben meritato della patria. Del pari, il punto tragico impressionante del colpo di stato di dicembre non è la barbarie degli sgherri, non è il pathos rettorico a buon mercato che i deputati sfoggiarono in faccia ai soldati irruenti; è invece la sorte delle rappresentanze popolari, le cui armi spirituali, quando vengono al cozzo con la potenza del pugno, si rivelano compassionevoli: e noi lasciamo ai bonapartisti il gusto di farne le beffe. Il terribile della catastrofe è il fatto, che la maggioranza della nazione approvò il colpo di stato. Può darsi che il presidente, da professatore fatalistico qual era della fede napoleonica, avesse stimato le simpatie popolari più forti di quel che erano; comunque, aveva per sé l'enorme maggioranza delle provincia, e gli operai della capitale non lo avversavano.
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