Toccò all'ultimo Bonaparte, mercé la propria accortezza, mercé il favore della fortuna e la debolezza dei popoli vicini, di alzare ancora una volta lo stato francese a una pienezza di potenza, che sopravanzava di gran lunga la potenzialità morale della nazione.
Non possiamo affermare, che il contegno dei nostri vicini a nostro riguardo sia cambiato sostanzialmente dal tempo del trattato di Vienna. E cerchiamo la ragione di cotesta politica ora irritante, ora minacciosa, ora violentemente aggressiva, non già in un sistema qual si sia, ma, parte nel carattere nazionale, che non muterà, fintanto che l'educazione del popolo francese sarà volta a svegliare l'ambizione esteriore in luogo dell'intimità morale dell'anima; parte in noi stessi, nel nostro sminuzzolamento, nelle nostre guerre civili, che permisero ai francesi di fare assegnamento sulla debolezza della Germania. Ora che l'impero germanico gloriosamente risorto ha strappato il terreno sotto i piedi a tutte coteste amichevoli calcolazioni dei vicini, il tedesco può con superbo sentimento di tranquillità riandare i recenti destini del paese confinante.
Il tema, tuttavia, si presenta poco grato. Giacché l'antico e irrevocabile presentimento, che anche cotesto pomposo impero si sarebbe alla fine rivelato per niente altro che una nuova precarietà, ha già da tempo impresso un segno passionato di esagerazione su tutti i giudizi dei nemici del pari e degli amici. Ogni parola di condiscendenza ci si secca nella penna, quando udiamo con quale sfacciata ciarlataneria il bonapartismo ha saputo cantare la propria gloria: il nostro modesto elogio tedesco non salirà mai alla grandiosità dell'apoftegma di Rouher: "no, no, non è stato mai commesso un errore!
| |
Bonaparte Vienna Germania Rouher
|