L'opinione dei popoli odiava l'imperatore in cui vedeva il cagnotto della reazione europea, che perseguitava per ogni dove, perfino nell'asilo dei paesi liberi, i campioni della repubblica; e tremava pensando all'ora, in cui egli infallibilmente avrebbe imboccato la via dello zio. Le corti tentennavano tra la ripugnanza contro il risalito e il rispetto verso il salvatore della società. Negli affari europei dava il tono la Russia; e precisamente quella corte mantenne di fronte al napoleonide, non appena fu esaltato imperatore, l'attitudine della rigida alterigia legittimista. In quel torno i disordini orientali offrirono l'opportunità di sperimentare la potenza della Francia e i talenti del suo capo. Seguì un brusco spostamento delle alleanze e dei rapporti internazionali, che ricordò vivamente il tempo splendido del Consolato, allorché Bonaparte, minacciato pur dianzi da una coalizione soverchiante, riuscì in pochi mesi ad assembrare in lega gli stati del Mezzogiorno e del Settentrione contro il diritto marittimo inglese. In verità, i risultati della spedizione di Crimea ebbero scarsa efficacia sul mondo orientale, quasi nulla; ma la gloria guerriera delle aquile imperiali fu novellamente sancita, e i rinfranchi del paese si palesarono inesauribili, giacché nel bel mezzo della guerra la capitale lussuriò anche di più nell'orgia della vita neonapoleonica e apparecchiò una fastosa esposizione alle industrie dell'Europa. Il napoleonide ebbe la soddisfazione, che nell'anniversario della sua conquista di Parigi un congresso europeo raccolto sulla Senna sotto la presidenza dell'ambasciatore francese segnò la conclusione della pace.
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