La preponderanza della Russia era spezzata. Di nuovo la Francia si chiamava la grande nazione. Subito dopo venne alla luce il principe imperiale: gli eserciti francese, inglese, italiano, turco e russo festeggiarono in pari tempo in Oriente la nascita del principe ereditario. Il sistema nazionale era eternato, come dissero le autorità nello stile del primo impero. Nel febbraio 1857 l'imperatore poté congedare il devoto corpo legislativo con la confidenza, che presto si direbbe del secondo impero come un tempo del Consolato: "regnava da per tutto il contento, e chi non nutriva nel cuore malvage passioni gioiva della felicità del paese".
Capitò allora un contrattempo: l'attentato di Orsini stornò per alquanto tempo Napoleone III dal suo comportamento, e il sistema, prima appena raddolcito, di oppressione fu novellamente raggravato. Il subisso di felicitazioni da cui fu inondato l'imperatore per l'avvenuto scampo, dimostrarono però al mondo fino a qual segno le popolazioni avessero bisogno di lui: che indubitabilmente parlava in loro un certo qual misto di sentimenti nobili e di servilità, come nell'ode Divis orte bonis che in un'epoca affine Grazio cantò ad Augusto. Nessuno ha così incisivamente significato di cotesto attacco la ragione ideale, come l'enfant terrible dei bonapartisti, il marchese di Boissy, con le parole: "noi tutti amiamo l'imperatore, perché ognuno dice a sé stesso: in quale pantano cadremmo, se Napoleone morisse!". Proprio in quei giorni in cui l'opinione pubblica liberale farneticava nuovamente sull'imperatore, egli s'incontrò con Cavour a Plombières, e portò a maturità il pensiero più ardito e più benefico della sua politica europea.
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