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      Si arrivò a combattere i candidati bonapartisti che non si erano cattivato l'appoggio dei prefetti: chi doveva il proprio stallo unicamente a sé stesso, poteva cadere nel vizio dell'indipendenza. Lo strisciamento del così detto partito illuminato governativo divenne a poco a poco tanto scandaloso, che una volta il signor Rouher ne fu indotto a dichiarare compiacentemente: "noi riconosciamo al partito governativo il diritto di correggere i nostri errori quando abbiamo torto".
      Anche il segreto non offriva alcuna garanzia alla libertà del voto. La votazione procedeva per comune, e i piccoli comuni della campagna ubbidivano infallibilmente agli ordini del rispettivo sindaco, il cui zelo ufficiale si era vie più rinfervorato da quando al signor di Persigny era venuta la felice idea di aprire anche ai sindaci villerecci la speranza fino allora preclusa del nastro rosso. Nei primi anni l'imperatore contò tanto fermamente sull'influenza dei suoi funzionari, che il ministro Billault vietò ai sindaci di comparire personalmente nella votazione comunale. I collegi erano rimaneggiati a placito del governo; e nella formazione delle liste elettorali la burocrazia mestava con libertà sovrana, di modo che la popolazione di Parigi incommensurabilmente salita contava nel 1863 meno elettori di sei anni avanti. E da quando, nella seconda elezione dell'impero, alcuni che avevano rifiutato il giuramento erano riusciti a farsi eleggere, ogni candidato era tenuto a prestare in anticipazione il giuramento allo statuto.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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