La nazione sentiva sempre il bisogno di essere governata da un'autorità ferrea, e, insieme, di assalire il governo. Se il sistema parlamentare era una falsità su questo suolo e abusava del dispotismo amministrativo ai fini dei partiti, anche l'impero però non era meno una falsità. I ricordi dei grandi giorni della Rivoluzione e del tempo in cui l'Europa tendeva l'orecchio in ascolto alla tribuna del Palais Bourbon, duravano indelebili: la forza di queste tradizioni impediva, che la dileggiata "gerarchia della libertà" diventasse un innocuo accessorio dello stato. La necessità degli ordinamenti costituzionali circa il 1860 picchiava adagio alle porte, ma percettibilmente, anche in Russia; le colpe della reazione europea avevano rafforzato tra i popoli il sentimento della solidarietà. La civiltà del secolo sforzò dovunque il dispotismo a mettersi la maschera liberale, e costrinse i bonapartisti a celebrare l'imperatore soldato come un eroe della libertà e della pace. Diede anzi un'importanza crescente al pietoso corpo legislativo dell'impero.
Alla pace sepolcrale delle elezioni del 1852 seguì la veemente lotta elettorale del 1857. Invano il discorso del trono vantò, che solamente qualche contrasto di opinione in qualche luogo aveva turbato il contento generale. Invano la stampa ufficiale cercò di dipingere come traditori e cospiratori i cinque uomini di coraggio, i quali, soli nel corpo legislativo, avevano osato per lo spazio di sei anni di opporsi al governo. A ogni modo, la coorte serrata dei deputati ligi era rimasta tuttora immune dal contagio.
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