Con quel decreto del novembre era arrivato per lo stato di Napoleone III il momento, che per ogni governo malcerto è il più critico: l'istante che comincia a riformarsi. Ma questo istante, essendo la forza politica della nazione presso che spenta, durò dieci anni interi. L'opposizione prese vigore lentamente; riportò alcuni successi nelle elezioni del 1863 e più nelle elezioni suppletive e nella ricostituzione dei consigli comunali: nella potente capitale si determinò una importante maggioranza contro il governo. Era venuta su una nuova generazione, la cui coscienza non era compenetrata dalla memoria dei terrori dei giorni di febbraio; e il despota doveva essere assalito sovente dal sinistro pensiero: che cosa accade ora, se le moltitudini, abituate come sono a addebitare all'imperatore ogni calamità, anche il cattivo raccolto e la penuria, in un momento di strettezze economiche fanno causa comune coi ceti colti, covanti già da un pezzo il livore? Principiò, come Morny, a tenere per inevitabile il ravvicinamento al sistema parlamentare. Ogni anno apportò nuovi diritti al corpo legislativo: visione degli atti della diplomazia, approvazione dei crediti supplementari, e via di seguito; finché la tribuna, che era uno spauracchio pel corretto bonapartismo, fu ripristinata nel bello emiciclo del Palazzo Borbone. Ciascuno di questi esperimenti di saggio non era per l'opinione pubblica invadente che una semplice leva per sollevare nuove esigenze, fino a quando non si conchiuse col domandare chiaro e netto il parlamentarismo "inglese". Occorre tuttora la prova, che le classi colte erano prese da un inganno enorme?
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