Ma si era poi prodotta nella vita dei partiti una salutare chiarezza, la quale giustificasse l'espettativa, che la nazione sarebbe per comportare più felicemente che non negli anni trascorsi l'enorme contraddizione tra l'amministrazione dispotica e il regime costituzionale? La risposta esprime un profondo rimprovero. I vecchi partiti erano consunti, i nuovi non ancora nati. La monarchia dei Borboni e degli Orléans formò i repubblicani, la repubblica tirò su una generazione di reazionari, e sotto l'impero lo spirito di contraddizione creò in verità molti scontenti, ma non punto un forte partito liberale con propositi precisi e tenaci. Il dominio dei legittimisti nella nuova Francia era impossibile; se pure ci è dato, d'altronde, servirci di questo pericoloso aggettivo a proposito delle vicende incalcolabili della nazione francese. Gli orleanisti avevano imparato poco. Non i soli espatriati si divoravano in un'odio sterile, come quel Dunoyer, un tempo tanto sennato, il quale ora nella sua opera sul secondo impero non ha saputo esprimere altro che corruccio e assurdi e l'eterno quiconque est loup agisse en loup. Anche quelli rimasti a casa non si erano emancipati dalle idee dei già da un pezzo trascorsi dì: la responsabilità ministeriale e il contegno ostile verso la Germania costituivano tuttora gli articoli capitali della loro fede politica. I repubblicani moderati contavano ancora, come venti anni avanti, molti nomi altamente rispettabili e virili, ma non erano spalleggiati dalle moltitudini, e vivevano anch'essi meno del novello pensiero che dell'odio contro il due dicembre, "che non è una data, ma un delitto". Dei radicali, alcuni erano convolati al principe rosso, altri si ubbriacavano di fantasticherie sterminatrici di ogni stato, di ogni ordine sociale.
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