L'imperatore non poteva più tenere con mano ferma, una volta allentate, le redini del governo. Una ricca concessione seguì l'altra. Nel marzo del 1868 apparve la legge sulla stampa. Il giudizio del tribunale della polizia dei costumi venne a sostituire l'arbitrio delle ammonizioni di polizia; e con l'abbassamento della tassa del bollo i giornali acquistarono la possibilità dell'assetto finanziario e dell'indipendenza. Certo, la penetrazione della stampa colta nel quarto stato, che era ciò che più importava, non era punto facilitata dalla lieve riduzione del bollo. Le persone colte non vedevano di buon occhio la fondazione di giornali locali indipendenti, in grado di sorvegliare per filo e per segno i maneggi dei prefetti onnipotenti; a cotesto liberalismo la sgargiante rettorica dei grandi fogli parigini sembrava più importante di una stampa di provincia modesta ma efficace. Nello stesso mese entrò in vigore la legge sulle riunioni, che dava in tutto prova della vigile diffidenza del dispotismo: non si permetteva adunanza, se prima i partecipanti non avessero precedentemente dichiarato ciascuno la propria persona, la condizione, il domicilio; facoltà incondizionata ai prefetti di rimandarla, sempre che ne temessero pericolo per la pubblica quiete. Ma anche questa limitata libertà di riunione effettivamente era troppa per una nazione, che aveva malmenato il diritto di socialità nella sconvenienza dei clubs e delle cospirazioni. Janzé e gli altri rugiadosi creduloni del tiers-parti tripudiavano, che non fosse a un dipresso rimasto nulla più della costituzione del 1852.
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