La prova fu sostenuta vituperosamente. Nelle elezioni del 1852 il governo aveva riportato 5 milioni di voti contro 872.000 dati all'opposizione; nel 1857 6 milioni contro 840.000; nel 1863 il numero di voti dell'opposizione salì a milioni 1,8 contro 5,36, e nel 1869 a milioni 3,31 contro 4,66. Alla prima occhiata questi numeri sembrano una chiara dimostrazione dell'ingrossamento continuo dell'opposizione. Eppure la verità era ben diversa. I primi tre risultati delle elezioni erano l'espressione fedele, l'ultimo una falsificazione della volontà del paese. L'enorme maggioranza della nazione si era col fatto talmente convertita alle idee liberali, che Emilio Girardin, l'augure delle rivoluzioni, credeva già di vedere il principio della fine; ciò non ostante, essa non trovò in sé il coraggio di opporre resistenza a quelle male arti della pressione elettorale napoleonica, che Rouher mise in azione anche questa volta.
Era una solenne dichiarazione di bancarotta della nazione; e, per giunta, ognuno sapeva che il dispotismo, intimidito e scoraggiato, non si trovava più in condizione di adoperare i mezzi violenti di un tempo. Dopo questo grande saggio di fermezza del carattere nazionale, era facile prevedere, che si sarebbe dimostrato una lustra anche il progresso dell'intelligenza politica, che gli ultimi anni avrebbero dovuto arrecare. La nuova camera risultò composta di 40 radicali, 60 appartenenti al recente tiers-parti e 200 mammalucchi ed arcadi, fida falange di Rouher. Ma la così detta opinione pubblica si rivelò ancora una volta come una forza irresistibile.
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