Di più, il plebiscito era una necessità politica. I radicali già svergognavano la nuova costituzione, che fosse niente altro che il pasticcio di pochi senatori tecnici: e siccome in questo paese ognuno s'inchina umilmente davanti al suffragio universale, essi presto o tardi avrebbero infallibilmente costretto l'imperatore a fare appello al popolo. Ma i liberali francesi mostrarono ancora una volta di mancare della prima virtù del libero cittadino: il senso della legalità. Della questione di diritto si parlò appena; non si faceva che biasimare il despota, di aver subito seppellito il regime parlamentare appena fondato. L'8 di maggio la nazione con sette milioni di voti contro uno e mezzo ratificò l'impero parlamentare. Napoleone ora sapeva di possedere nella devozione delle moltitudini una riserva contro l'intemperanza dei parlatori parlamentari; ma nello stesso momento fu tormentato dal pensiero degli umori dell'esercito, che aveva dato 47.000 voti contro l'impero. Diveniva intanto sempre più impetuoso l'ardore guerresco dei vecchi bonapartisti, che temevano di essere soppiantati nelle loro cariche dai cupidi amici di Ollivier; e si vestiva di seduzioni sempre crescenti l'idea che propugnavano, di ristabilire con una guerra nazionale la cadente autorità della corona. In questo modo, nel tripudio della nazione accecata, tra il fragoroso clamore guerresco di una scellerata spedizione di preda, il bonapartismo parlamentare andava a sommergersi senza lasciar traccia. Dal 18 brumaio la nazione aveva cercato la libertà in cinque sistemi differenti.
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Ollivier
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