Ma la peculiare indecisione della sua mente, il timore da cui era preso davanti a qualsiasi indebolimento del potere statale, e il riguardo allo spirito di casta burocratico tolsero l'ardimento a tale veduta: onde le tanto celebrate prove di decentramento dell'imperatore rimasero tutte senza contenuto concreto, giacché toccavano la forma, non la sostanza dell'amministrazione. Fin dal 25 marzo 1852 un decreto rimetteva nelle mani dei prefetti una serie di affari che finora incombevano al ministro; poiché "si può bene governare da lontano, ma si amministra solo da vicino". Naturalmente il ministro più tardi informò quali magnifici frutti questo decreto aveva portati. Meno impetuoso dei suoi consiglieri, l'imperatore il 24 giugno 1864 incaricò il consiglio di stato di dare il suo avviso sulla semplificazione della pratica degli affari: quale ritardo, se le più semplici questioni amministrative devono passare per undici istanze! Desiderava anche di abolire l'esattore generale e di porre gli esattori delle imposte dei dipartimenti in rapporto diretto con la cassa della capitale. È chiaro, che con siffatte riforme l'amministrazione guadagna in tempo, ma non il popolo in libertà. Ma tali questioni sono pei popoli latini così poco mature alla discussione, che lo stesso La Farina poteva sinceramente ammirare quelle vacue riforme amministrative di Napoleone III. Solo una volta l'impero ha arrischiato un tentativo per l'istituzione di una vera autonomia amministrativa; e fu nel 1852, quando Persigny consentì ai comuni e ai dipartimenti d'imporre alcuni centesimi addizionali senza l'approvazione dello stato; ma la riforma dopo appena qualche anno decadde per l'opposizione dei prefetti.
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