Più sodamente, i partiti andarono alla sostanza del problema. Il programma di Nancy del 1865 compendiava i più urgenti desiderii dei partigiani dell'autonomia nelle seguenti proposizioni: i consigli generali eleggerebbero essi medesimi i propri presidenti; il sindaco verrebbe nominato esclusivamente dai membri del consiglio comunale (non osandosi chiedere l'elezione del sindaco); allato al prefetto starebbe una commissione permanente del consiglio generale. Questo disegno immaturo e confuso, frutto di un compromesso tra i liberali e i legittimisti, pure diventò la pietra di paragone dei partiti. Nell'odiosa opposizione, sollevata contro gli uomini di Nancy dal Siècle e dall'Opinion nationale, si rivelò il terrorismo dispotico della vecchia democrazia incorreggibile, della democratie autoritaire; nella eloquente difesa fattane dal Temps e dal Journal des débats(28), invece, il discernimento più maturo del liberalismo colto. Purtroppo la stampa non illustrò e vagliò veracemente queste idee, volte secondo il pregiudizio dei vari pensatori. Tra i propugnatori dell'autonomia si levarono spesso opinioni ostili allo stato: si combatteva lo stato in odio alla burocrazia. Noi non alludiamo punto al frivolo Emilio Girardin, che una volta per ragioni di opportunità difese l'État fédéré e assegnò allo stato il compito di un istituto di assicurazione. Ma anche uomini migliori, come Carlo Dollfus, ricaddero nelle superficiali idee del secolo decimottavo, non concependo altrimenti il governo, che come un sistema di garanzie per la libertà delle persone.
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