Chi ha visitato Rouen nel 1865, quando le nuove nette linee stradali avevano sventrato allora il vecchio reticolo di vie muffite, vorrà consentire che molte città mancano affatto di aria, di luce, di libero respiro. Ma l'impresa, ben giustificata e condotta sul principio, ingrossò presto oltre tutti i limiti ragionevoli, si contraffece in uno di quei violenti rivolgimenti sociali, che possono accadere soltanto negli stati non liberi. Il colossale è una prerogativa dei despoti; le gigantesche demolizioni e riedificazioni del bonapartismo ricordano in verità quelle grandiose costruzioni di Oriente, che testimoniano non già della grandezza del popolo che le eresse, ma solo della cupezza della sua schiavitù, della potenza dei suoi despoti. Parigi e Lione, Bordeaux e Marsiglia, tutte le grandi e perfino le medie città dell'impero gareggiarono in cotesta furia edificatoria. Strade e acquedotti, cattedrali e palazzi di borsa sprillarono di sotterra; accanto al potente porto militare di Cherbourg, creazione favorita del primo imperatore, naturalmente menata a termine in grande stile dal nipote, sorgevano in tutte le piazze marittime nuovi moli e darsene. Un decreto imperiale accordò ai comuni il diritto di espropriazione, e il socialismo autoritario, imperversando nella più sorprendente spregiudicata maniera contro la proprietà privata, non sorvolò, nelle domande di risarcimento, sulle opinioni politiche dei proprietari cacciati via. Le case più solide vennero così abbandonate al capriccio della fortuna: Ledru-Rollin riguadagnò con un boulevard imperiale i propri beni per metà perduti, cento altri piangevano la rovina dei loro averi.
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