Ma, ahimè, qual sacro cibo era offerto in cotesti templi! Dove sono andati gli squilli baccanti di voluttà gallica di vivere, che un tempo Rabelais elevò in onore della diva bottiglia? Dove la protervia deliziosa, che ride in ogni accento della Celimene di Molière? Dove solamente quelle ultime faville della passione della bellezza, che sprizzano ancora dalle voluttuose poesie dei giorni di Luigi Filippo? Chi canta ancora una volta: ah qu'elle est belle en son désordre quand elle tombe les seins nus!? Vi fu un tempo che l'amante, la quale amava o fingeva di amare, era già considerata in poesia come un'eroina arrischiata. Adesso è trasportata disinvoltamente sulla scena la troiettuola che non ha mai amato e fa tranquillamente i suoi conti. Gli scapestrati figliuoli di rigidi genitori, giocoso motivo di commedie antichissimo, si riguardavano come vieti: il poeta moderno prediligeva di rappresentare virtuosi figliuoli di viziosi padri, che era un soggetto semplicemente stomachevole, spoglio per giunta anche del triste merito di esser vero nella prosa della realtà. Feydeau creò ora il capolavoro di questa poesia andata a male: Fanny. Quale solletico per gl'imbecilli ammirare in luogo del solito marito geloso l'amante geloso, che spia dalla finestra i coniugali amplessi dell'amata! Che cosa è più orrida in questa sporchizia, la spudoratezza o la scempiatezza? Va sottinteso, che il poeta di una siffatta età esercita la sua arte come una speculazione industriale. Di regola il romanziere fa riprodurre sulla scena in forma di dramma la propria opera per non perdervi il doppio guadagno.
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