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      A principiare dalla scuola dei pubblicisti liberali ricca di buoni ingegni, la quale seguiva le orme di Tocqueville e aveva in Laboulaye la penna più geniale, fino alle opere estremamente conservatrici e piene di pensiero del Le Play sulla riforma sociale, non più che una sola tinta tra i partiti politici rimase fuori, non rappresentata nella nuova scienza dello stato. La questione italiana ispirò lavori pubblicistici, come, per esempio, gli eccellenti scritti sull'Italia di R. Rey, la cui profonda accuratezza non trova affatto l'eguale nella letteratura politica della monarchia di luglio. Anche nella maggior parte di queste opere dominava, come è giusto, uno spirito di opposizione, non però affatto di opposizione sistematica: quasi tutte domandavano solo il perfezionamento delle istituzioni vigenti e l'impiego del potere statale all'ingentilimento delle moltitudini. Siffatta rassegnazione maschia supera, moralmente e politicamente, di molto il puntiglio lunatico che i quaranta immortali dell'Accademia mostravano contro l'impero. L'imperatore, dopo un pazzo tentativo d'infrangere l'indipendenza dell'Accademia, si abituò a lasciarli stagionare, quei vecchi signori, nelle loro giubbe ricamate di palme. Accogliessero pure nel loro seno gli eroi dell'opposizione bianca e della rossa: le parate accademiche e gli spiritualissimi articoli di rivista non erano proprio fatti per rovesciare il trono imperiale, e il lamento di Guizot: "noi stiamo sotto sonanti rovine", significava non più che il profondo sospiro di un vecchio, che vede la fine del mondo perché vede finire il suo mondo.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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